De Gregori canta Dylan, ovvero l’arte di raschiare il fondo del barile

C’era una volta Francesco De Gregori, soprannominato il Bob Dylan italiano. C’era una volta un autore capace di scrivere canzoni indimenticabili, da Alice a Buonanotte Fiorellino, da La Donna Cannone a La leva calcistica della classe ’68, da Titanic a Bellamore a L’agnello di Dio senza tuttavia apparire pesante come solo certo cantautorato italiano sa essere. C’era una volta un autore capace di unire musica e parole in un afflato mistico che non era in grado di lasciare indifferenti i propri ascoltatori, fin quando la luce si è spenta. Nel 2001 il canto del cigno, quell’ Amore nel pomeriggio che, con la conclusiva Sempre e per sempre, ammette qualche piccolo cambiamento nell’uomo e nell’artista quando dice: Tu non credere se qualcuno ti dirà che non sono più lo stesso ormai.

E non può essere certamente lo stesso artista quello che da Pablo si ritrova a dedicare canzoni, seppure al vetriolo, a Walter Veltroni oppure l’artista che, in Guarda che non sono io, tratta dall’ultimo album Sulla Strada, addirittura finge di non essere sé stesso per non rilasciare foto e autografi né tampoco può trattarsi della stessa persona che, dopo essersi saziato di apparizioni in reality show, per celebrare i quarant’anni del suo disco più famoso e la contemporanea e casuale uscita del suo greatest hits, raduna a sé Ligabue, Fedez e Arisa all’Arena di Verona con la stessa naturalezza con cui Pavarotti radunava Sting, Bono ed Elton John a Modena.

Questa mattina, in un’intervista a La Repubblica, il prode cantautore romano, annuncia candidamente che il prossimo atto di fede che i fan saranno chiamati a sostenere, è l’acquisto di Amore e furto, album prossimo venturo, registrato durante le pause del VivaVoce tour, in cui l’artista traduce e reinterpreta alcune canzoni di Bob Dylan. Niente paura eh, non ci sarà alcuna Soffiando nel vento, le scelte musicali sono cadute su alcune delle canzoni meno celebri del repertorio dylaniano, il ché può essere un punto a favore ma l’impressione che rimane è sempre quella di una scelta scontata e mirata al semplice batter cassa. Lo si intuisce nell’intervista, quando il Principe sostiene: Confessai in tempi non sospetti che Buonanotte fiorellino fu ispirata da Winterlude. E qui ribadisco con fierezza non la mia sudditanza, ma la mia provenienza da Dylan. Una precisazione che, spiazzando, buca lo schermo dietro il quale sembra essersi voluto celare De Gregori da quando, circa un mese fa, in un’altra intervista a La Repubblica decise di definirsi “superficiale”.
Che sia l’intuizione giusta per recuperare un po’del De Gregori scomparso? Tocca aspettare ancora, almeno fino a ottobre, tanto comunque vada, sempre e per sempre dalla stessa parte lo troveremo.

Ph. Credits: metronews24.it
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